Quella del belga Jean-Luc Fafchamps è una musica che apre orizzonti pur essendo autoconclusa, che riflette su stessa ma non tanto (o non solo) a proposito del proprio “medium”, quanto sulla sua costituzione, sulla sua struttura, sul suo stesso esistere, su ciò che la fa essere tale. Però è musica, non musicologia o filosofia o estetica o epistemologia. Una riflessione musicale sull’esperienza musicale che “è” e “si fa” esperienza. In questo senso “Back to…” è un’opera veramente coeva, già dal titolo che, con in punti di sospensione, lascia aperto il discorso del suo contenuto che è legato al passato, alla memoria, alla esperienze vissute (“back”) ma non come oggetto, ma come tensione e movimento sempre da rimettere in atto (“to”). Tre pezzi-pièces neanche troppo lunghi per pianoforte, strumento che la cover richiama con il suo chiaroscuro (una specie di essenziale visione dada-futurista). Molto belle pure le note del libretto che aiutano la comprensione senza esser troppo didascaliche. E la musica? Il primo pezzo (Back to The Pulse) è un mantra sincopato che si fa ossessivo; nonostante la ripetitività delle frasi musicali è presente un dinamismo sempre sull’attenti, spezzato da incisi e pause che non disperdono il cammino ma al contrario – paradossalmente – lo rafforzano, a parte quello che potremmo definire il terzo movimento che è uno stupito, curioso vagabondaggio sul luogo raggiunto, sempre con la stessa percussiva ripetitività . Back to The Sound è appena più disteso all’inizio con le sue cascate di note, valorizzando sia la durezza spezzata dei suoni dello strumento (staccati) sia la dolcezza (legati), in una continua, instabile esplorazione della tastiera. Così pure il terzo pezzo Back to The Voice, in cui – ancora una volta – pause riflessive si alternano a scossoni frenetici.
Completamente diverso come sonorità “YZ3Z2Z1S2, a Five-letter Sufi Word” per ensemble orchestrale a cui si aggiunge una componente elettronica. Anche in questo caso c’è un concept (la tradizione esoterica islamica) ma la musica può essere ascoltata benissimo senza alcun riferimento oggettivo. Si passa da un Feldman orchestrale (o un Edgard Varèse convertito alla mistica), a un trombone estatico che Albert Ayler non avrebbe disdegnato di donare per Stravinskij, non emettendo squittii di archi che si mettono pure a cantare e un terrifico basso dark da metal o industrial. Quello che “Back to…” fa per e con il piano qui viene fatto con e per l’orchestra, per ciò che ne rimane. Fafchamps ha certo una grande sensibilità per il colore e il timbro di ogni strumento, combinando pause e sussulti, vigore e leggerezza. Un’esperienza decisamente “fonica” in cui Fafchamps – e noi con lui – esploriamo “musicalmente” due ambiti esperienziali che possiamo pure non fare nostri (la memoria, come ricordo delle esperienze pianistiche: lo studio, la composizione, l’esecuzione; e l’esoterismo islamico tramite lo studio delle lettere, come una cabale) ma che non lasciano indifferenti. Certo, ascoltati subito dopo i Ramones questi CD non lasciano il segno, ma fuori dalle immediate vicinanze non possono fare che bene.
Girolamo Dal Maso, juillet 2013