[…] La prima [opera], intitolata Beth/Veth (termini che nelle lingua ebraica indicano due modi diversi di pronunciare le prime lettere della Torah), è una partitura per piano, percussioni metalliche e materiali elettronica che si dipana alternando passaggi dal vago sentore impressionista a momenti sospesi in una dimensione eterea e sfuggente, punteggiati di volta in volta da minime risonanze di oggetti metallici e dalle impercettibile intrusioni dell’elettronica digitale. La seconda è invece un lavoro visuale su dvd, in cui la composizione Street Music per viola e « pop elettronico » (delay e pedaliere che creano una graduale stratificazione di loop) si integra con i suoni di Bruxelles sviluppando una peculiare relazione fra l’esecutore Vincent Royer, il movimento dei passanti e le geometrie delle architetture che accolgono la performance come in un’ideale quinta. Un lavoro di certo non rivoluzionario né particolarmente innovativo, ma curato e non privo di spunti poetici.
Massimiliano Busti, gennaio 2016